À rez de chaussée

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La polizia non le ha creduto. Annie Lefebvre ora, dunque, è seduta dall’altro lato della mia scrivania e mi sta raccontando ciò che l’angustia non poco, e da non poco. Fa caldo e le finestre e la porta d’ingresso sono aperte in modo da favorire una qualche corrente d’aria. In giro, per strada, non c’è nessuno data la controra, se non un clochard ciucco che canta nell’afa, sdraiato sulla panchina davanti al 20 di Rue Tronchet, cioè proprio davanti il mio ufficio di investigazioni private. Come è noto ai più il mio settore nell’investigazione privata è quello dell’adulterio, ramo in cui dopo anni di gavetta mi sono ritagliato uno spazio di tutto rispetto. Per questo motivo, a fronte di richieste diverse dal frugare tra le lenzuola, amo mettere in chiaro le cose a scanso di equivoci.

Ma torniamo a Annie Lefebvre, l’inquilina “à rez de chaussée” all’interno del cortile di Rue Tronchet 20. Figura esile ma ben proporzionata, di una certa età ma non proprio matura, e con un viso come di porcellana incorniciato da lunghi capelli corvini, Da anni ci incrociamo ogni tanto nell’androne o davanti al palazzo e, oltre un buongiorno o un buonasera, niente altro. Mai nemmeno un sorriso di buon vicinato.

Annie mi narra di telefonate ricorrenti senza risposta, di silenzi più o meno prolungati prima del clic. Motivo per cui lo squillo, gli squilli ormai le incutono timore. Nello stesso tempo ogniqualvolta esce ha la netta sensazione di essere seguita e spiata, benché mai sia riuscita a identificare chicchessia. Pur non giurandoci non crede possa essere sospettato l’ex coniuge, e meno che mai il chirurgo col quale sta intrattenendo una promettente amicizia. Il primo perché vive all’estero, il secondo perché stimato professionista al Cochin.

Mentre parla, addentrandosi in ulteriori dettagli ed esternando ansia e preoccupazioni, a stento riesco a mantenere la calma, a rimanere impassibile. A reprimere il tumulto di passione che m’avvampa. A soffocare la voglia di confessare e dichiararmi. Sono attratto da Annie da sempre, sin da quando l’ho vista per la prima volta. Mai però ho avuto il coraggio di avvicinarla e, con qualche scusa, tentare di scambiare due chiacchiere, tentare di creare un’occasione, fin troppo consapevole della disparità, di età e di fascino. Consapevole, in altre parole, di non poter aver nessuna speranza, di non avere alcuna chance. Se non quella di ricoprirmi di ridicolo. 

Al congedo indugio nella stretta della mano. Lei indugia nello sguardo, forse sorpresa da quel contatto prolungato inaspettato. Probabilmente ha frainteso, non potendo nemmeno lontanamente immaginare che il mio non è che un addio. So che dovrei essere forte e cancellare per sempre ogni stupida quanto perniciosa fantasia ma, al momento, la mia debolezza è tale che l’unico rimedio è andare via da Rue Tronchet. Trovarmi un’altra sistemazione, più lontano possibile, prima che sia troppo tardi. 

 

 

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